In Italia il solare ed eolico crescono a ritmi sostenuti. Nel 2024 il 41% della domanda elettrica è stato coperto da fonti rinnovabili, con picchi mensili oltre il 56%. Ma c’è un grande assente nel sistema: la flessibilità della domanda.
Accumuli, reti intelligenti, rinnovabili su questi fronti si investe e si innova. Ma la gestione attiva della domanda (demand response e demand management) rimane poco sviluppata e poco discussa, nonostante sia una delle leve più economicamente efficienti per la stabilità di rete.
In altri Paesi come Francia, UK o USA, il demand response è già realtà, infatti aggregatori, clienti industriali e commerciali partecipano attivamente al bilanciamento del sistema elettrico, riducendo i costi complessivi e i picchi di carico.
In Italia, invece, il progetto Uvam (Unità Virtuali Abilitate Miste, un’iniziativa italiana che mira a rendere il mercato elettrico più flessibile e sostenibile, consentendo la partecipazione di privati dotati di impianti di produzione, consumo e accumulo di energia) prima e la riforma Tide (mira a modernizzare e rendere più efficiente la gestione della rete elettrica nazionale, aprendo il mercato dei servizi di dispacciamento a un numero più ampio di partecipanti, inclusi quelli di piccola scala, e incentivando chi contribuisce alla flessibilità energetica) poi hanno avuto risultati limitati: poche adesioni, molte regole, zero dibattito.
Eppure, senza questo pezzo mancante, rischiamo di dover tagliare produzione rinnovabile o riattivare impianti fossili nei momenti critici. Un paradosso costoso, inefficiente e dannoso per la transizione.
Serve un cambio di passo, ripensare il ruolo delle risorse di domanda, incentivare la partecipazione degli utenti e aprire a una vera concorrenza anche su questo fronte.
È tempo che il demand response entri nel dibattito pubblico sull’energia. Perché una rete rinnovabile senza domanda flessibile è una rete che non si evolve.